martedì 8 settembre 2009

Il racconto di una giornata speciale .... di Emanuele Barsottini

PUBBLICO VOLENTIERI IL RACCONTO DI UN'AVVENTURA VISSUTA DA EMANUELE BARSOTTINI Il racconto di una giornata speciale che ho passato nelle nostri Alpi Apuane. Ce ne sono state tantissime di giornate così, altrimenti non si spiega il perchè continuiamo a svegliarci prima dell'alba per andare a faticare rischiando anche di farsi male, ognuno al suo livello, ognuno a suo modo ma tutti ripagati in modo proporzionale allo sforzo fatto, e tutti tornando appagati da sensazioni che solo con veri amici vuoi condividere. Così condivido con voi questa giornata, che è stata molto più di una scalata. L'intento, anche se non sembrerà così, non è quello del vanto personale, ma volevo scrivere per ricordare e di ringraziare per aver avuto la possibilità di frequentare la montagna, e di poterla vivere, pensando a tutti quelli che questa fortuna non ce l'hanno per svariati motivi. Sicuramente vi annoierete, per questo spero di andare presto in montagna con voi che come me amate scoprire ogni volta posti nuovi e condividerli con chi li apprezza. 8 Agosto 2009 Per me ci siamo, sentivo odore di qualcosa di grande da qualche giorno, mi sentivo bene. Stavo scalando tanto da diverse settimane e la confidenza con la roccia la percepivo. Arrampicando mi sentivo libero, non mi preoccupavo più di guardare quanto ero alto sopra l’ultimo punto di protrezione, percepivo solo il buon gusto del gesto, del salire, i profumi di un’estate positiva. Prova del nove. Avevo chiamato mercoledì sera e attendevo risposta da Roberto Galletti che in un sms diceva "sentiamoci in giornata, sto aspettando la risposta da altri due". "Allora è ok? Ma sì, proviamo, alle nove sono a casa tua, gli altri non vengono". Ed è così che alle nove del 7 Agosto parte l'avventura, dopo una bella cena fatta da mamma Enza, si parte per la Val Serenaia, dove arriviamo verso le 22.45 al rifugio Donegani. Si monta la tenda accanto alla macchina e si gonfia il materasso. Una notte comoda ci attende sotto un cielo stellato. Alle 5.15 un camioncino dei rifornimenti ci sveglia, facciamo colazione col thermos di thè portato da casa e alle 5.55 siamo in marcia con gli zaini ben carichi verso foce Siggioli. Scendiamo la ferrata Siggioli (Roberto correndo, io un po' meno) e prima delle otto siamo all'attacco della via, indicata da un chiodo con cordino rosso come recitano tutte le relazioni che ho studiato. Ci prepariamo in silenzio, un'ultima titubanza, uno sguardo in giro, un mare di roccia sopra di noi e siamo soli, nessun suono, nulla, solo noi due e una parete che aspetta di essere salita. Roberto parla chiaro “guarda che qui indietro non si torna, quindi se non te la senti diciamolo subito”. Parte, sale, ed io lo seguo senza indugiare, un solo concetto ho in testa "concentrazione e velocità". E così i tiri si susseguono, i primi sono facili ma piuttosto articolati, capisco subito che se andassi da primo sarebbe solo una gran perdita di tempo e oggi di tempo ce n'è poco: il meteo prevede infatti temporali forti nel pomeriggio. Dopo il traverso si entra nel canale. E qui un camino non difficile ma sprotetto ci ostacola, siamo costretti a lasciare un dado perché rimane incastrato, almeno siamo sicuri che avrebbe retto il volo. Riprendiamo a salire spediti e un po’ indispettiti per la mezz’ora persa, ancora tiri su tiri che inizio perderne il conto. Siamo ormai alla famosa cengia di lotta continua (scritta lasciata nel periodo della contestazione) e la tabella di marcia sembra rispettata. Qui si aggira sulla destra il contrafforte roccioso che altrimenti ci obbligherebbe a passaggi tecnicamente impegnativi che allungherebbero i tempi di scalata. Forse questo è l'unico tratto più esposto della via ma la roccia sulla via è bella e solida in molti punti, c'è anche qualche bel passaggio di arrampicata da fare. Ancora un po' di tiri, quattro forse cinque, e siamo sotto la fessura diedrica, questa sosta è la nostra sala da pranzo. Un quarto d'ora di pausa, due parole per recuperare le energie e Roberto riprende a salire questo tiro complesso di V grado un po' protetto ma da integrare (i chiodi sono pressappoco quelli degli apritori), guardarlo in questo tratto è uno spettacolo e si nota tutta l’esperienza nell’intuire gli appigli utili e sicuri. Il più è fatto e ora siamo nei diedri, che spettacolo, che magnificenza di parete, mi sento così piccolo a confronto! La salita procede bene ma i nuvoloni si sono addensati come dicevano le previsioni, in lontananza i tuoni iniziano a farsi sentire. “Forza!” siamo sotto ai camini. Roberto sale ancora, con velocità ma sempre ben protetto, oggi mi sento al sicuro come se avessi la guida alpina, anche meglio! Dentro ai camini, che in tutto sono 4 o 5 tiri, arrivano le prime gocce: tic tic sul casco e sulle pietre circostanti, ed inizio a pregare che non arrivi adesso il temporale. Questi camini sono stati creati dall’erosione dell’acqua, un temporale trasformerebbe questi salti in cascate d’acqua. I nuvoloni ci attorniano, sul paese di Uglian Caldo piove a dirotto, così come a Vagli e sull’Appennino: noi siamo ancora asciutti. E si esce dai camini sulla cengia detritica "attento ai sassi che smuove la corda!" si premura di dirmi Roberto come se qualche sassetto potesse darmi fastidio in una situazione potenzialmente molto peggiore! E così siamo alla sosta che unisce la via Oppio alla via Biagi. La prima ed unica sosta con due spit, probabilmente viene usata dal soccorso, e finalmente il sole ci illumina e bevo e ci riposiamo un attimo prima dell’ultimo assalto. Ora le facce sono ancora più distese, due tiri di questo pilastro e saremo usciti. Incredibile, il temporale continua a girarci intorno. Roberto sale sulla roccia adesso più rotta e friabile. Fa una sosta mi recupera "adesso provo ad uscire, se finisce la corda smonta tutto e vieni su" e parte scomparendo dietro ad un pilastro. La corda mi scorre nel secchiello velocemente, sale Roberto ed io mi guardo un po' in giro, che strano vedere adesso la ferrata così in basso, adesso inizio a rendermi conto del viaggio che abbiamo fatto. "molla tutto e vieni!" "arrivo!" l'ultimo tiro è una danza gioiosa e leggera, un ballo per ringraziare chi mi ha fatto arrivare quassù, Roberto è il primo, ma poi penso anche a quanto ho sognato questa salita e ora la sto vivendo. In un certo senso ho dedicato anche al nonno di tutti gli alpinisti questa salita, Riccardo Cassin, scomparso due giorni fa e a cui anche Roberto si sente un po' legato (tra le tante ha ripetuto la sua mitica via alla parete nord-est del Pizzo Badile). Anche a tutti gli altri ragazzi e ragazze che per la montagna sono arrivati a dare la vita, e che adesso fa piacere pensarli un po’ come i nostri angeli custodi. Poi a tutti i compagni con cui ho acquisito l’esperienza necessaria per fare questa salita, dalla mia prima ferrata, la Siggioli dove tutti gli amici della sottosezione CAI Valdera mi coccolavano, e tutti quelli che mi hanno motivato e con cui ho passato giornate indimenticabili. E a ripensare a quante volte ho pensato di non legarmi più ad una corda, alle volte in cui non è andata così bene, non a tutti. Eccomi, raggiungo Roberto che impassibile mi dice "dai arriva alla croce così mi recuperi le corde" in realtà lo sa che cosa significa questo per me, ed è il suo ennesimo regalo. Sono le quattro e mezzo quando arrivo alla croce di vetta, quasi con le lacrime agli occhi, tante volte sono salito sul Pizzo d'Uccello, e tante volte guardando giù ho detto "chissà se un giorno arriverò dalla nord". In vetta ci trovo anche tre ragazzi, loro hanno salito la ferrata Siggioli, ci vedevano e noi vedevamo loro durante l’ascesa, così hanno deciso di venire ad aspettarci, adesso anche i tifosi?!?! Arriva Roberto e finalmente ci stringiamo la mano e ci abbracciamo. Chiarisco subito ai tre amici che la via l'ha tirata tutta lui! Dalla vetta telefono a mamma Enza che aspettava (stavolta un pochino in ansia) e a Vanessa che era un po' più fiduciosa e meno preoccupata. Per il resto sul sentiero del rientro non troviamo nessuno e giunti alla cava inizia a scrosciare acqua. Contenti come bimbi la prendiamo tutta senza correre, nonostante sia l'8 Agosto adesso il cielo è molto cupo, siamo contenti di non essere lassù. Per me la salita si conclude a casa, ed infatti anche il viaggio di ritorno lo vivo come un sogno, ci fermiamo per una pizza per festeggiare la salita che è stata semplicemente perfetta. Mai una volta che si formasse un nodo nelle corde. Solo io, il solito, ho lasciato un cordino in kevlar ad una sosta e Roberto si è un po’ arrabbiato e la macchina fotografica lasciata a casa (scusate!). Per il resto è stato davvero tutto perfetto. Un viaggio che può essere perfetto, o dove un piccolo imprevisto può comportare problemi che solo il soccorso può risolvere. Sono stato fortunato ma anche cosciente di aver intrapreso questa salita solo nel giorno in mi sentivo di poterla affrontare, quando sapevo di poter contare sulla mia concentrazione, sul mio allenamento, scegliendo il giusto compagno di salita per essere sicuro di non perdere la via e di fare le cose in sicurezza e soprattutto con un amico di quelli a cui vuoi legarti e sai che lui si lega volentieri con te. E così il Pizzo d’Uccello mi ha fatto salire, mi ha coccolato per un giorno. So di non essere un alpinista, ma per un giorno “ho fatto l'alpinista” e questo mi riempie (scusatemi ancora) di orgoglio per la realizzazione di un sogno. Tecnicamente la via Oppio-Colnaghi (650m di dislivello per 800m di sviluppo) è considerata facile (IV grado con passi di V/V+), ed è la via più ripetuta sulla parete nord. E' stata aperta appunto da questi due signori Milanesi (in realtà la maggior parte della via fu aperta dall’Elso Biagi e Angelo Nerli) nel 1940, con scarponi di cuoio, chiodi fatti in casa, zaini pesanti, tecniche approssimative di sicurezza, lanciandosi su questa parete fino ad allora inviolata. Io l'ho solo ripetuta, in modo leggero, con scarpette da arrampicata e da secondo di cordata e con un capocordata che conosce a menadito questa parete. Adesso capisco ancora di più cosa hanno fatto i grandi dell'alpinismo e quanto la montagna possa essere “maestra di vita”.

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